Quello strano personaggio con la faccia pallida di lenzuola, lo sterno fatto di canne di bambù e le gambe un pò swing che solo il legno di vite può donarti si chiama Sansone lo spaventapasseri.
Sansone è un punto di partenza per il nostro ChiamaloSeVuoi Vivaio oltre che il prodotto delle primissime settimane di lavoro. Un lavoro in cui ci confontavamo con l'estraneità delle piante e del lavoro agricolo oltre che con la divergenza dei nostri interlocutori che iniziavamo a comprendere insieme con le questioni che a modo loro ci comunicavano. C'era "chi scappava al maneggio", chi "proprio non voleva lavorare", c'erano tutte le nostre emozioni in rapporto ad un lavoro del tutto nuovo e c'era da capire come rapportarsi, che posizione prendere. "Ma devono lavorare per forza?"- ci chiedevamo- e ancora " che senso potrebbe avere per loro coltivare le piante?"
Il percorso intrapreso per rispondere a queste domande cominciava in un luogo in cui la maggior parte dei nostri interlocutori era abituata a venire, un luogo familiare, vicino ai nostri vicini del maneggio sempre pieno di persone che andavano e venivano per imparare ad andare a cavallo.
Noi volevamo fare qualcosa di diverso da quello che la già c'era e volevamo al contempo essere utili alle persone con cui iniziavamo a rapportarci oltre che al contesto entro cui lavoravamo. Cercavamo una nostra funzione e per iniziare a costruirla ci rendevamo conto che ci servivano dei confini qualcosa che ci aiutasse a capire dove iniziavamo noi e dove finivano gli altri.
Fù così che all'inizio, presi dall'urgenza, quasi senza rendercene conto iniziammo a costruire una staccionata che delimitasse l'area in cui lavoravamo dal contesto esterno. Il risultato però non ci convinceva: la struttura sembrava costringerci all'interno di un recinto al contempo respingendo gli estranei. Il nostro obbiettivo era un altro: volevamo diventare capaci di accogliere raccontando il senso del nostro lavoro con le piante. Ci serviva un primo modo di comunicarlo che funzionasse come un simbolo della nostra presenza e degli obbiettivi che ci interessava portare avanti. Ragionando di confini iniziammo a pensarli come limiti, coordinate di un lavoro che potevamo iniziare a raccontare e condividere. Fu così che archiviammo la staccionata affidando l'arduo compito di rappresentarci a Sansone, il custode dei campi, un custode gentile che custodisse più che sorvegliare, proteggendo in modo benevolo una prospettiva di lavoro che come le nostre piante ha bisogno di spazi, di tempi e di continua manutenzione. Fu così che, anche grazie a Sansone, cominciammo a pensare che, insieme alle piante, potevamo coltivare storie fatte di parole che potessero uscire dall'Hortus, il recinto che confina stranezze e diversità.