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30 giugno 2013

Senapità: un problema confuso ed appiccicaticcio!

Consigliamo ai chi come noi con l’agricoltura e la coltivazione si diverte ad esplorare di non lasciarsi troppo prendere dalla mano nel coltivare la senape. E’ bastato infatti poco tempo, dopo aver con leggerezza seminato, per ritrovarsi a contatto con un problemaccio da noi rinominato “senapità”. Tanti semi in poco temo han germogliato una confusione delirante: non si capiva più dove iniziava una senape e finiva l’altra. Le piantine di senape stavano infatti fitte, tutte intorcinate l’una sull’altra, tanto da render urgente e necessario il trapiantarle velocemente da un’altra parte. Sembravano felici così vicine in quel marasma e sembrava quasi volessero rimanere cosi attaccate senza separasi, rischiando così di brutto, di soffocarsi, morendo appiccicate di eccessiva “senapità”.
“Senapità” è per noi la confusione tra se e l’altro, il miscuglio, l’appiccicume che toglie il fiato, ma anche la gelosia, l’avidità, la paura di separarsi.

13 maggio 2013

Sansone lo spaventapasseri





Quello strano personaggio con la faccia pallida di lenzuola, lo sterno fatto di canne di bambù e le gambe un pò swing che solo il legno di vite può donarti si chiama Sansone lo spaventapasseri. 

Sansone è un punto di partenza per il nostro ChiamaloSeVuoi Vivaio oltre che il prodotto delle primissime settimane di lavoro. Un lavoro in cui ci confontavamo con l'estraneità delle piante e del lavoro agricolo oltre che con la divergenza dei nostri interlocutori che iniziavamo a comprendere insieme con le questioni che a modo loro ci comunicavano. C'era "chi scappava al maneggio", chi "proprio non voleva lavorare", c'erano tutte le nostre emozioni in rapporto ad un lavoro del tutto nuovo  e c'era da capire come rapportarsi, che posizione prendere. "Ma devono lavorare per forza?"- ci chiedevamo- e ancora " che senso potrebbe avere per loro coltivare le piante?"

Il percorso intrapreso per rispondere a queste domande cominciava in un luogo in cui la maggior parte dei nostri interlocutori era abituata a venire, un luogo familiare, vicino ai nostri vicini del maneggio sempre pieno di persone che andavano e venivano per imparare ad andare a cavallo.

Noi volevamo fare qualcosa di diverso da quello che la già c'era e volevamo al contempo essere utili alle persone con cui iniziavamo a rapportarci oltre che al contesto entro cui lavoravamo. Cercavamo una nostra funzione e per iniziare a costruirla ci rendevamo conto che ci servivano dei confini qualcosa che ci aiutasse a capire dove iniziavamo noi e dove finivano gli altri.

Fù così che all'inizio, presi dall'urgenza, quasi senza rendercene conto iniziammo a costruire una staccionata che delimitasse l'area in cui lavoravamo dal contesto esterno. Il risultato però non ci convinceva: la struttura sembrava costringerci all'interno di un recinto al contempo respingendo gli estranei. Il nostro obbiettivo era un altro: volevamo diventare capaci di accogliere raccontando il senso del nostro lavoro con le piante. Ci serviva un primo modo di comunicarlo che funzionasse come un simbolo della nostra presenza e degli obbiettivi che ci interessava portare avanti. Ragionando di confini iniziammo a pensarli come limiti, coordinate di un lavoro che potevamo iniziare a raccontare e condividere. Fu così che archiviammo la staccionata affidando l'arduo compito di rappresentarci a Sansone, il custode dei campi, un custode gentile che custodisse più che sorvegliare,  proteggendo in modo benevolo una prospettiva di lavoro che come le nostre piante ha bisogno di spazi, di tempi e di continua manutenzione. Fu così che, anche grazie a Sansone, cominciammo a pensare che, insieme alle piante, potevamo coltivare storie fatte di parole che potessero uscire dall'Hortus, il recinto che confina stranezze e diversità.


3 settembre 2012

Inizia l’avventura…




Qualche talea di falso-incenso e rosmarino, qualche sacco di terra, strumenti di lavoro e voglia di intraprendere un’ignota avventura. E’ il giorno in cui si è messa la prima pietra o forse sarebbe meglio dir la prima piantina! E’ il girono in cui ci siamo presentati ad un gruppo di interlocutori interessati ed incuriositi dalla nostra proposta. Sole estivo, brezza pomeridiana, curiosità nel conoscerci e nell’esplorare quel campo circondato da cavalli, asini, viti ed ulivi. Non mancava poi un po’ di preoccupazione per la tanta attenzione ricevuta. Noi, un gruppo di psicologi ed un agricoltore sociale, avevamo invitato alcune famiglie che si confrontano con la questione della disabilità dei figli ad incontrarci. Volevamo parlare e condividere la possibilità di costruire insieme uno spazio entro cui, attraverso la coltivazione ed il prendersi cura delle piante, produrre, pensare e costruire modi di rapportarsi ai contesti di convivenza in cui si vive. Contesti entro cui spesso ci si sente soli, abbandonati, trascurati; contesti con i quali spesso non si dialoga e con cui spesso non è facile rapportarsi. E non è tanto una questione di disabilità quanto di emozioni, che spesso ci prendono, ci investono, che spesso non riusciamo a pensare e a comunicare. In questo senso volevamo presentare innanzi tutto la possibilità di costruire uno spazio entro cui pensare le emozioni vissute entro i rapporti, entro cui prendere a pretesto un’attività come quella agricola per poter esplorare facendo, produrre pensando, comunicare coltivando. Uno spazio entro cui costruire prodotti con cui parlare del modo di vivere entro i rapporti, entro i contesti, nell’ipotesi che è proprio pensando le emozioni che si costruiscono le basi per lo sviluppo della convivenza. E che cos’è la diversa abilità se non un qualcosa che sconfermando la cosiddetta normalità crea problemi e crisi entro i sistemi di convivenza? 
Questa era la nostra proposta e da qui è iniziata la nostra avventura. Stavamo iniziando a costruire insieme uno spazio, un luogo… una serra? Si forse un serra ma non proprio. Un orto? Si anche un orto ma non solo… Un vivaio sociale? Tu chiamalo se vuoi vivaio sociale!
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